‘La Traviata’ è titolo rappresentato moltissime volte a Trieste in questi ultimi anni, con fortune alterne, ma sempre accompagnate da ampi consensi di pubblico e successi di botteghino.
Si tratta di una partitura raffinatissima, carica di poesia e tensione, nella quale Verdi specchiava la sua vita così drammatica.
Un lavoro tutt’altro che scontato, nel quale la protagonista è quella che oggi definiremmo una escort, ma anche l’unico personaggio positivo di una vicenda infarcita di pregiudizi ed interessi personali, con un giovane rampollo bello e sciocco ed un vecchio padre calcolatore e spietato.
Verdi credeva profondamente in questo lavoro e per la prima avrebbe voluto avere a disposizione non virtuosi del belcanto, ma interpreti credibili, tanto che ritenne la stazza pesante del soprano una delle cause del fiasco degli esordi .
Il teatro triestino ha affidato la regia dello spettacolo ad uno dei più noti talenti contemporanei: Arnaud Bernard, reduce dai consensi della recentissima triade di Manon a Torino e coadiuvato dalle scene di Alessandro Camera, le luci di Emanuele Agliatied i costumi di Carla Ricotti.
La vicenda viene spostata negli anni Cinquanta, ma sembra più una scelta di carattere estetico che una profonda ragione narrativa.
Di fatto non c’è il coraggio di un cambio radicale, un messaggio chiaro, una presa di posizione forte.
Lo spettacolo è una raccolta di citazione più o meno note: ci sono i petali tanto cari a Carsen; gli specchi, che caratterizzarono l’allestimento di Svoboda; il gioco delle bicromie che rimanda alleTraviata di Zito per Palermo, di Benoit Jacquot per il Met , del troppo presto dimenticato Federico Esposito.
Verrebbe da dire che l’obiettivo sia stato quello di costruire un ambiente elegante, nel quale lasciare i personaggi abbastanza liberi di muoversi, ma questo proposito si infrange su una serie di scelte almeno curiose.
Violetta durante tutto lo spettacolo vomita, o scatarra, dentro un catino; le zingarelle diventano un gruppo di sgraziate drag queen munite di frustino, mentre al posto del ‘matador’ appare una sorta di Josephine Baker che esce da un gigantesco cilindro per intrattenere Flora, pesantemente ubriaca, in una scena lesbo .
Non bastasse, ci sono almeno cinque amplessi, brutali e sopra le righe; una ballerina allarga le gambe davanti ad uno degli invitati che resta sgomento, immaginiamo perché vede quello che non credeva di incontrare.
Violetta ed Alfredo salgono di continuo sul tavolo da pranzo e su quelli da gioco, per cantare, accoppiarsi, distendersi, distruggere bicchieri e ‘mise en place’.
In compenso nella casa di campagna Violetta non ha neanche una scrivania e deve scrivere ad Alfredo appoggiando il foglio sulle pareti della stanza; quando le persone parlano fra di loro non si guardano mai, al punto che in un duetto Alfredo fissa il vuoto e Violetta la parete dall’altro lato.
La protagonista si lamenta ripetutamente del suo pallore , ma non fa mai uso di uno specchio.
Incomprensibile la scelta di collocare gli interpreti ai lati del boccascena, impedendo ai palchi di seguire lo spettacolo nella sua interezza.
Ma ci sono anche momenti realmente straordinari , come il duetto fra Alfredo e Germont nel quale il vecchio padre parla con il figlio, disteso per terra, in posizione fetale. Un telo nero li isola dal mondo e rende l’atmosfera preziosamente metafisica.
I coristi si muovono in modo esagerato, ma quando si fermano, grazie anche al bel lavoro delle luci, assumono pose dal sapore caravaggesco.
Forse proprio i movimenti concitati del coro, diretto dal Maestro Longo, potrebbero essere una delle cause di alcuni momenti di ritardo e di disomogeneità, soprattutto delle voci maschili, che sono stati ancora più evidenti allo spettacolo di sabato.
Di grandissimo valore la lettura della partitura che il Maestro Calesso ha dato della partitura, che esalta le potenzialità sia dell’Orchestra del Verdi, che dei singoli musicisti, come per esempio la sezione degli archi, dominata dal primo violino Stefano Furini .
Il Maestro, che dirige con gesto elegante ed ampio, sostiene consapienza i cantanti, ne valorizza le potenzialità e riesce a rendere meno evidenti limiti e sbavature, riportandoci a quella nobile ‘vecchia scuola’ dei direttori che si ponevano come obbiettivo primario la riuscita dello spettacolo, non il proprio successo personale.
Due le compagnie che si alternano nei ruoli principali.
Diversa la resa , a tutto favore del primo gruppo di interpreti.
Sarebbe importante una riflessione su questa differenza troppo marcata, anche per non ripiombare in quella situazione che tanto aveva infastidito gli abbonati qualche anno fa.
Violetta era il ruolo portato in scena da Maria Grazia Schiavo e Francesca Sassu.
La Schiavo, soprano dalla carriera in ascesa, non ha un voce di grande volume e questo si nota in particolare nell’ultimo atto. Si destreggia meglio nei primi due atti nei quali supera le asperità delle agilità senza difficoltà.
La Sassu , invece, se nei primi due atti non sempre emerge per potenza e virtuosismi, nell’ultimo sa essere intensa e coinvolgente, grazie al colore drammatico della voce ed ad una suggestiva resa scenica.
Alfredo era sostenuta da Antonio Poli e Klodjan Kacani.
Poli è un tenore emergente che sta bruciando le tappe del successo internazionale. Il suo repertorio più recente lo sta portando versouna vocalità corposa, dal colore virile e dalla tecnica solida.
Il suo è un Alfredo di grande spessore, sia musicalmente che scenicamente, capace di trovare una tavolozza dalle tante sfumature, da quelle più riservate e timide a quelle più esuberanti e caparbie.
Vocalmente sicuro , solidissimo negli acuti e ricco di fiati lunghissimi, delicate mezzevoci e suggestivi passaggi ci racconta il drammatico crescere di un giovane viziato che diventa uomo, forgiato nel dolore e nella consapevolezza dell’amore autentico.
Kacani ha una voce dagli interessanti colori, sulla quale abbiamo la sensazione debba ancora lavorare per rendere più solida la resa e più sicuro il controllo e per potermettere in evidenza le sue reali potenzialità
Roberto Frontali , che a Trieste ha mosso i suoi primi passi trentasei anni fa, è stato il trionfatore della serata : il suo Germont commuove, affascina, incanta.
La sua è una prova magistrale , che il pubblico premia con applausi trionfali ed acclamazioni.
Frontali vive il ruolo in modo attento e profondo, lavorando sulla singola parola, sulle frasi, cercando colori, sfumature, toni, in un caleidoscopio di narrazioni e poesia, esaltati da uno strumento solidissimo, omogeneo, che sa far svettare acuti potenti e limpidissimi, che regalano alla platea una prova da antologia.
Federico Longhi offre un Germont dai grandi mezzi vocali, brutale nei modi, spiccio, scevro da finezze e tutto sommato monolitico, che sembra, forse volutamente, cozzare con la raffinata trama musicale costruita da Calesso. Non chiede a Violetta: pretende. Non cerca di convincerla: da subito la costringe. Interessante se si vuole fare del vecchio genitore un prototipo del machismo violento, ma questa scelta impedisce una tavolozza di sfumature che sarebbe stato avvincente fossero state messe in gioco.
Brilla, pur nella brevità del ruolo, la prova di Veronica Prando come Annina.
Sicura tecnicamente e scenicamente, costruisce un personaggio credibile, interessante, commovente grazie ad una voce interessante e luminosa.
Eleonora Vacchi era una Flora elegante negli abiti e sicura nei movimenti; Francesco Verna, il Barone Douphol e Francesco Auriemma, il Marchese d’Obigny , erano appropriati vocalmente e dal punto di visto attoriale.
Andrea Pellegrini, era un sicuro Dottor Grenvil; Saverio Fiorera un credibile Gastone. Gianluca Sorrentino come Giuseppe , il domestico di Giuseppe Oliveri e Damiano Locatelli, nella parte di un commissario, sono stati affidabili ed apprezzati.
Alla fine tanti applausi per tutti, con autentiche ovazioni per la prima compagnia , Frontali ed il direttore.
Gianluca Macovez
Trieste, Teatro Giuseppe Verdi, stagione d’opera e balletto 2024-25
“La Traviata”
di Giuseppe Verdi
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave dal dramma La Dame aux camélias di Alexandre Dumas figlio
Regia ARNAUD BERNARD
Scene ALESSANDRO CAMERA
Costumi CARLA RICOTTI
Light designer EMANUELE AGLIATI
Maestro del Coro PAOLO LONGO
Personaggi e interpreti
Violetta Valéry MARIA GRAZIA SCHIAVO(8, 10, 15, 17/XI)/ FRANCESCA SASSU(9, 16/XI)
Alfredo Germont ANTONIO POLI(8, 10, 15, 17/XI)/KLODJAN KAÇANI(9, 16/XI)
Giorgio Germont ROBERTO FRONTALI(8, 10, 15, 17/XI)/ FEDERICO LONGHI(9, 16/XI)
Flora Bervoix ELEONORA VACCHI
Barone Douphol FRANCESCO VERNA
Marchese d’Obigny FRANCESCO AURIEMMA
Dottor Grenvil ANDREA PELLEGRINI
Gastone SAVERIO FIORE
Annina VERONICA PRANDO
Giuseppe GIANLUCA SORRENTINO
Un domestico di Flora GIUSEPPE OLIVERI
Un commissionario DAMIANO LOCATELLI
Orchestra, Coro e Tecnici della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
Trieste, 9 e 10 novembre 2024